L'istituto Italiano per gli Studi Storici. Il capo dello Stato alle solenni celebrazioni

Croce, irrinunciabile caposaldo etico-politico

di Giuseppe Ossorio

L'Istituto Italiano per gli Studi Storici, fondato da Benedetto Croce nell’immediato dopoguerra, è ancora oggi un punto di riferimento per il mondo culturale e scientifico nazionale ed internazionale. Per noi repubblicani ha rappresentato un costante caposaldo etico-politico. L’Istituto, fondato per i giovani studiosi dal filosofo della libertà, ha ispirato l’azione politica di tanti nostri maestri e amici, molti dei quali protagonisti della ricostruzione della nuova Italia repubblicana.
Salendo le scale di Palazzo Filomarino (nella Napoli del Centro storico) per partecipare alla commemorazione del filosofo della libertà a sessant’anni della morte, ci siamo chiesti quanto e come il suo pensiero e la sua opera potessero ancora oggi ispirarci, aiutarci, per certi aspetti, nella nostra esperienza parlamentare, nella difficile congiuntura politica che stiamo affrontando come cittadini, come uomini politici responsabili del futuro delle nostre generazioni.
Ebbene, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha chiuso con un discorso le solenni celebrazioni, ha risposto indirettamente a questa domanda che in molti si saranno posti. Il suo discorso non è stato solo una commemorazione di alti contenuti, ma un intervento forte, appassionato e commosso. Per certi aspetti, il Presidente ci ha proposto un Benedetto Croce diverso da quello consegnato alla storiografia, e ci ha ricordato una parte fondamentale della storia italiana colpevolmente dimenticata.
“Croce 1943-1944. Da Napoli per la salvezza dell’Italia.” E’ il titolo, circostanziato e programmatico, dell’intervento del Capo dello Stato. "E' nel periodo più tormentato e drammatico della storia d'Italia - nota il Presidente Napolitano - che la personalità di Benedetto Croce si dispiega in tutta la sua ricchezza, offrendo prove che sfuggono a ogni rappresentazione convenzionale della sua figura. (…) Mi riferisco - ha aggiunto il Presidente - a un arco di quasi dieci mesi, dalla caduta di Mussolini e del regime fascista alla liberazione di Roma. A partire dal 25 luglio, è un succedersi incalzante di eventi che scuotono la compagine nazionale, nel tragico scenario di una guerra che ha seminato e continua a seminare distruzione, morte, miseria, privazioni, in nessun luogo come a Napoli, la Napoli di Benedetto Croce. A tutto ciò Croce reagisce, giorno dopo giorno, con profonda, straordinaria tensione emotiva e morale e in pari tempo mettendo in campo riserve insospettabili di energia e determinazione, così da farsi protagonista politico, sapiente e decisivo, di una fase cruciale della vita nazionale. Ad angustiarlo e sollecitarlo è l'assillo per le sorti dell'Italia, che vede ‘in condizioni gravissime e quasi disperate’. La realtà che gliene dà il segno tangibile, toccandolo da vicino e suscitando in lui sgomento e dolore, è quella di Napoli".
E’ il Croce, a nostro avviso, che, senza rivestire nessuna carica istituzionale e senza incarnare ruoli politici ufficiali, si adopera con sagacia, coraggio e intelligenza alla ricostruzione del governo italiano, che svolge una tenace funzione di mediazione fra i nuovi partiti nati dall’antifascismo, tanto diversi fra loro per cultura politica e sensibilità ideologica. Un impegno difficile ed estenuante, condotto dal vecchio filosofo in un contesto internazionale difficilissimo, sostanzialmente sospettoso se non ostile all’Italia. Anche su questo fronte l’opera di Croce si rivelava indispensabile, insostituibile, caricando, se possibile, di una ulteriore gravosa responsabilità il Croce politico a tutti gli effetti, suo malgrado.
Il Presidente Napolitano, richiamando le pagine dei Taccuini di Croce pubblicate nel 1948, sottolinea: "E’ un Croce a lungo sconosciuto, che mai si era rivelato - affidandosi a un Diario destinato a divenire pubblico - nell'intimo dei suoi stati d'animo e dei suoi travagli personali, nella pienezza dei suoi sentimenti, delle sue cadute d'animo e dei suoi scatti di volontà. E che dà prova di una forza d'animo, di uno stoicismo, e insieme di una passione, che ancora colpiscono e commuovono chi rilegga quelle pagine. E al tempo stesso con questa dimensione profondamente umana, emerge da quegli anni - che sono anche anni di importanti scritti e discorsi - una, anch'essa senza precedenti, formidabile dimensione politica della figura di Benedetto Croce".
E, in effetti, da una Napoli martoriata da più di cento bombardamenti, affamata e sconvolta, rinasce la democrazia italiana, si gettano le fondamenta della convivenza fra partiti diversi che culminerà nella proclamazione della Costituzione. Benedetto Croce, dunque, non solo testimone morale, ma protagonista di una ricostruzione concretamente e realisticamente politica di un’Italia disperata e umiliata.
Non sfugge l’analogia con l’Italia di questi anni, con la nostra attuale condizione. Meno drammatica, certamente, ma non per questo meno preoccupante. Il Presidente Napolitano, infatti, ha ricordato "un brano di elevata e lungimirante consapevolezza, contenuto nello scritto di Croce sull'amor di patria”: Forse il pensiero della patria... tornando vivo e puro nei cuori, renderà più agevole la necessaria concordia nella discordia tra i partiti politici... che in avvenire... si combatteranno a viso scoperto e lealmente; perché tutti essi, come terranno sacra la libertà, loro comune fondamento, così avranno dinanzi agli occhi l'Italia... e nel bene dell'Italia troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi la loro discordia....
Questo è il punto. Ritrovare anche oggi una concordia nella discordia. Capire che la democrazia liberale non può vivere senza il conflitto (altrimenti si tramuterebbe in una dittatura mite), ma che se il conflitto non si sviluppa in un orizzonte di valori condivisi, conduce irrimediabilmente all’anarchia, al disfacimento della stessa convivenza civile.
Tocca agli eredi di quella tradizione politica, di democrazia liberale, di cui Croce fu fra i più lungimiranti interpreti, rimettersi all’opera, guardando all’Italia e all’Europa con spirito nuovo, riformatore. Perché solo con riforme profonde del Parlamento si impediscono le rivoluzioni.

Roma, 27 novembre 2012